Il viaggio di Iroh nel Mondo degli Spiriti


di La Regina del Fuoco

La nave viaggiava placida sotto i colpi dei macchinisti dominatori addetti alle fornaci. Un lieve rumore del motore a combustione e tutto il resto era puro silenzio. Iroh era nella sua cabina. Nulla in quell’uomo lasciava presupporre che fosse il più temibile dominatore del fuoco esistente, una vera furia della natura. Ora, senza la sua armatura, con indosso una vecchia veste da camera, era solo un vecchio dai capelli bianchi e scarmigliati, che non aveva nemmeno voglia di finire il suo tè al gelsomino. Erano passati diversi giorni dalla brutta notizia e lui era ancora shoccato. Aveva perso la voglia di fare, di agire e di reagire. Aveva perso la voglia di combattere e soprattutto quella di vivere. Il viaggio verso Ba Sing Se sembrava eterno eppure, solo il giorno prima del nefasto evento, era lì, con Lu-Ten e con tutti i guerrieri più valenti della grande Nazione del Fuoco, sotto quelle mura inespugnabili, proprio quelle mura, che avrebbero dovuto cedere e rendere celebre il “Dragone dell’Ovest”, ora incombevano su di lui con tutto il loro peso. Non gli era chiaro perché il fratello Ozai lo avesse chiamato in patria proprio durante la battaglia definitiva, ma una cosa era certa: la sconfitta era stata totale e ora l’unica cosa che contava era recuperare il corpo di suo figlio e mandare tutti al diavolo. Stava guardando il tavolino con sopra la scacchiera di Pai-sho e gli venne in mente la leggenda secondo la quale esisteva una società segreta chiamata il “Loto Bianco”. La setta era formata molto probabilmente da luminari del sapere, grandi combattenti ma soprattutto grandi pensatori, conoscitori delle antiche arti e degli antichi misteri. Uno di questi era la possibilità di comunicare con gli spiriti. Oh! Quanto avrebbe dato per poter rivedere anche solo per un secondo suo figlio! Si arruffò il capo certo di star fin troppo fantasticando e decise di alzarsi. Ad un tratto si sentì mancare il pavimento sotto i piedi e perse l’equilibrio. Non era certo ubriaco, era stata la nave a sussultare.
- Cosa diavolo... –
La porta si aprì di scatto e la confusione nei corridoi non era un buon segno. Iroh gridò agli uomini che frettolosamente correvano davanti alla sua cabina:
- Cos’è successo? –
Uno di essi si affrettò a rispondere con il dovuto rispetto ma caoticamente, preso dalla fretta:
- Generale! Siamo stati attaccati. I dominatori della terra, Signore! –
- Capisco! – rispose senza troppa cura – Vai pure, io arrivo subito –
S’infilò l’armatura, ma era stanco di tutto quel baccano, di tutta quell’agitazione. Era stanco di quella guerra. Imboccò il corridoio e salì per le scale. Non fece in tempo a uscire che un’enorme collina di terra si era eretta dritta di fronte alla prua della nave, incagliandola e impennandola verso l’alto. Non era sicuro se fosse la realtà o se stesse semplicemente facendo un viaggio onirico dato dal torpore del suo stato emotivo, ma la confusione intorno a lui era più che reale. I suoi uomini si stavano accingendo a schierarsi in formazione sul ponte, quando metà furono sopraffatti dal ghiaccio e l’altra metà dalla terra. Non capiva cosa stesse succedendo ma doveva darsi una mossa o non sarebbe mai giunto a destinazione. Si mise in posizione per aiutare i suoi uomini quando una spada, lanciata con forza e precisione gli sfiorò l’orecchio sinistro e si conficcò nella porta subito dietro di lui.

Inconfutabilmente appartenente alla Nazione del Fuoco, l’elsa della spada stava ancora vibrando all’altezza della sua testa. L’uomo sgranò gli occhi. Di fronte a lui, sul cumulo di terra che imprigionava la nave per la prua, c’erano tre uomini e lui li conosceva bene tutti e tre. Il primo con la faccia spiritata e l’aria non certo giovanile era quel pazzo di Re Bumi, al centro c’era Pakku della Tribù dell’Acqua del Nord e per ultimo, non l’avrebbe mai detto, un vero e proprio traditore, il maestro Piandao. La spada era inequivocabilmente sua. - Ma bene! Quale accoglienza! – disse Iroh incrociando le mani sulla pancia – Immagino che siate venuti a darmi il colpo di grazia, vero? –
- Affatto! Vecchio caprone! – rispose Re Bumi un po’ scocciato. Stava per continuare il discorso, quando Pakku e Piandao misero definitivamente al tappeto il resto della ciurma. Uno schianto unico proveniente da tutti gli anfratti della nave, fece capire ad Iroh che quello che aveva appena visto si era ripercosso su tutti i suoi uomini: l’acqua e la terra che li imprigionavano si erano erette a dismisura portando i guerrieri verso l’alto per poi farli precipitare rovinosamente in basso. Messi K.O. gli avversari, Re Bumi continuò il discorso sbattendo a terra il piede destro per attivare una mossa del suo dominio. - Siamo venuti a prenderti. Seguici senza fare storie! – e una strada in salita si erse da sotto i piedi del Re fino ad Iroh.
Sconfitto ma all’erta, l’uomo incominciò a salire – Cosa volete ancora! La mia sconfitta a Ba Sing Se è ormai ufficiale, stavo giusto andando a prendere le spoglie di mio figlio e a far ritirare i sopravvissuti – concluse con voce atona. Pakku con un gesto ampio della mano lo invitò a oltrepassare il valico e a scendere con loro fino alla presunta nave che Iroh s’immaginava, non poteva certo credere in quel che stava guardando: Draghi. Erano due, uno rosso e uno blu, maestosi, più di quanti ne avesse mai visti prima, e ne aveva visti molti durante le campagne di sterminio della Nazione. Re Bumi sghignazzò nel vedere gli occhi fuori dalle orbite del mitico Generale.
- Ma questi...? –
- Non fare domande per adesso – tagliò corto Piandao
Tremante per l’eccitazione, Iroh salì in groppa al mitico animale rosso insieme al connazionale, mentre Re Bumi salì su quello blu, con il dominatore dell’acqua.

La destinazione era ignota e il vento fresco gli sferzava il viso. L’animale era duro e il suo corpo emanava un piacevole tepore che riscaldava l’aria circostante senza far patire il freddo dell’altitudine ai suoi passeggeri. Il vecchio soldato si sentiva come stregato, gli sembrava tutto lontano: il suo trono, la guerra, la morte del figlio, la sconfitta, l’inedia che lo attanagliava da giorni a quella parte; tutto sembrava finto, come se facesse parte di un’altra vita, di un’altra persona, di un’esistenza a parte. D’un tratto la planata lo risvegliò da quegli strani pensieri, e vide una terra brulla aprirsi sotto di loro. Non avrebbe saputo dire con precisione dove fossero, certo i vulcani in lontananza davano una sensazione di casa, ma la sua saggezza non era svanita con gli avvenimenti degli ultimi tempi, anzi sembrava voler uscire prepotentemente dal suo cuore per invadere il cervello e rimetterlo sulla giusta via. Stare calmi e ragionare erano le sole soluzioni al problema. Il drago di Re Bumi e Pakku atterrò per primo facendosi largo tra la folla di una non ben specificata popolazione, quello di Iroh atterrò subito dopo tra gli sguardi di sdegno dei presenti. Era noto a tutti che gli abitanti della Nazione del Fuoco avevano sterminato tutti i draghi per avere la supremazia sul dominio. Iroh non era ritenuto da meno. Scesi dalle loro cavalcature, vennero accolti dal capo villaggio con tutti gli onori, e i festeggiamenti non tardarono a iniziare. La cerimonia alla quale stavano assistendo doveva essere vecchia di secoli, era un connubio tra i vari domini, fra i quali quello del fuoco aveva la supremazia assoluta, dettata dalla presenza dei due draghi. Il popolo che la celebrava faceva parte dei Guerrieri del Sole. Iroh ne aveva studiato le origini a suo tempo, ma come tutti i testi dicevano, quella popolazione doveva essersi estinta da secoli. Inoltre sapeva che vivevano in una cittadina ben strutturata, le cui rovine dovevano essere ai piedi di quel monte, ma da lì non riusciva a intravedere nulla. Piandao si affrettò a far avvicinare il connazionale e Iroh fu inghiottito in un turbinio di luci, calore e una forza sovraumana che lo sollevava fino a farlo volteggiare a mezz’aria. Non riusciva a descrivere quella sensazione, era come essere purificati da ogni male e da ogni peccato; il suo passato, il suo presente e quello che sarebbe potuto essere il suo futuro con suo figlio, si mescolavano vicendevolmente senza sosta e senza apparente significato. Stordito dal tumulto dei suoi stessi pensieri, atterrò con leggerezza, si accasciò al suolo poggiando una mano a terra per darsi un minimo di equilibrio. Guardò frastornato gli altri: - Cosa mi avete fatto? Cosa sta succedendo?... –
Piandao, essendo della sua stessa Nazione, decise di spiegargli tutto, facendo segno verso i draghi – Questa è l’iniziazione al Loto Bianco, sei stato scelto dai tuoi stessi antenati, le fonti originali del dominio del fuco, per far parte del nostro Ordine – Iroh si rialzò a stento guardando fisso negli occhi il connazionale cercando di leggerne l’eventuale menzogna dalla sua prossima risposta – Di cosa stai parlando? Quale Ordine? – - Noi quattro da oggi formeremo il Loto Bianco di quest’Era, per aiutare il mondo in attesa dell’Avatar –
Il capo villaggio si presentò ad Iroh spiegandogli l’assoluta importanza di tenere il segreto sull’esistenza di quei due draghi chiamati Ran e Sho, e continuò il racconto lasciato in sospeso dallo spadaccino. L’era dei draghi era giunta al termine con il massacro degli altri esemplari, ma tutta la conoscenza da loro detenuta doveva continuare. L’unico modo era preservare gli ultimi due esemplari, ultimi custodi dell’antico potere. Un patto, antico come il tempo, univa le quattro grandi fonti del domino fino al confine del mondo dello spirito. Tra questo mondo e le fonti, nacquero i dominatori e primo fra essi l’Avatar. Nel periodo di transizione tra una reincarnazione e l’altra del Grande Dominatore, il mondo dello spirito e le quattro fonti originali, sceglievano coloro i quali avrebbero mantenuto l’ordine tra i popoli e si sarebbero occupati dell’educazione stessa del nuovo Avatar ai quattro domini. Con il passare del tempo i maestri scelti e i loro affiliati, presero il nome de “Ordine del Loto Bianco”, un codice segreto che non solo riguardava la strategia del gioco da tavolo, ma aveva come simbolo di appartenenza proprio la pedina del loto bianco. Ora, Iroh era stato scelto come detentore mortale del Dominio del Fuoco al cospetto delle sue relative fonti originali. La scelta non avveniva mai a caso, era proprio il mondo dello spirito a sondare i cuori dei prescelti e le fonti ad eleggerli. Così com’era successo ad Iroh, a Re Bumi, a Pakku, a Piandao e precedentemente al Monaco Gyatso, così avrebbe continuato ad essere in avvenire. Il vecchio dominatore non riusciva a credere a quel racconto; come avevano fatto per anni, no, per secoli, a mantenere l’anonimato? Come poteva credere alle parole del capo villaggio? - Ho bisogno di prove. Ho bisogno di credere in tutto quello che mi avete appena detto, perché altrimenti tutto quello che ho fatto fino adesso, non avrebbe né valore, né significato – Re Bumi si avvicinò al nuovo compagno poggiandogli una mano sulla spalla – Credimi, non è ancora finita. Così come “tu” hai bisogno di prove anche noi abbiamo bisogno di sapere che il tuo cuore non sia corrotto. Affronterai il viaggio purificatore nel mondo degli spiriti e lì, saprai la verità che per cento anni è stata tenuta nascosta a tutti – Piandao intervenne rassicurando il connazionale – Anche noi eravamo scettici, ma oggi possiamo fidarci gli uni degli altri, e anche se i tempi non sono ancora maturi, dovremo posizionare le nostre pedine lungo il tragitto prestabilito dal fato e attendere che l’Avatar ritorni – Iroh non si fece sfuggire un’amara smorfia di sofferenza sul volto di Re Bumi, ma non avrebbe saputo dire da cosa scaturisse e perché. Deciso a saperne di più si fece avanti. I tre uomini erano dietro di lui come per incoraggiarlo, sapevano benissimo dove si sarebbe diretto, cosa avrebbe imparato e soprattutto cosa avrebbe appreso; strinsero i pugni, ognuno perso nei propri pensieri.

Il generale s’incamminò verso i due draghi, nel punto più alto della struttura e già a metà strada si sentiva come avvolto dal nulla, arrivò quasi arrancando alla meta, era come se tutte le sue colpe lo avessero invaso di colpo e lo opprimessero con tutta la loro forza. I draghi chinarono il capo in segno di assenso e Iroh si sedette nella posizione del loto. Non fece in tempo a concentrarsi che quasi istantaneamente si trovò in una giungla sconosciuta, dove strani insetti ronzavano e le scimmie parlavano. Una di queste gli indicò il cammino e l’uomo procedette come ipnotizzato. Davanti a lui si aprì un’ampia radura con centinaia di draghi appollaiati qua e là. Sì girarono di scatto al suo venire e lo fissarono con occhi di fuoco come per trafiggerlo. Un forte dolore al petto, un urlo, e l’uomo si trovò disteso supino circondato da un vortice di draghi sopra di lui. Cosa volevano? Vendetta? Ma lui non aveva mai partecipato direttamente alla caccia ai draghi e il suo cuore ne era testimone. Cosa dicevano? Non li sentiva eppure li sentiva.
Contemporaneamente, parlavano tutti contemporaneamente. Non capiva.
Al centro del vortice, immagini indistinguibili si andavano materializzando. Cosa stava guardando? Lui? Sua moglie? Suo figlio?
Calde lacrime scendevano ai lati degli occhi di Iroh. Voleva asciugarle, non riusciva ad asciugarle. Era immobilizzato a terra.
Il ragazzo cresceva, la moglie moriva, il padre lo voleva Re, il fratello era geloso.
Voleva chiudere gli occhi, ma non poteva chiuderli. Sbarrati a fissare il passaggio delle immagini, quegli occhi continuavano a lacrimare.
Una pergamena, l’invito del fratello durante la battaglia, il figlio morto.
Cosa diavolo volevano dire quelle immagini? Un moto di stizza fece muovere di poco la sua testa.
Di nuovo, una pergamena, il fratello e la morte del figlio. Distruzione e militari morti, feriti, agonizzanti. Suo padre che rideva, suo nonno che rideva, suo fratello che rideva. Le risa si facevano sempre più assordanti, sempre più pesanti. Villaggi distrutti, gente in miseria, profughi e moribondi.
Le mura di Ba Sing Se e su una collina poco distante una tomba. Cosa diavolo era?
Il vortice si fece sempre più fitto e tutte le immagini ricorrevano senza più un ordine, se mai ce n’era stato uno. Tutto insieme, di colpo, senza preavviso, mentre Iroh urlava tenendosi il volto trasfigurato dal pianto, intorno a lui si fece silenzio. Non un drago, non un suono. Come un bambino singhiozzante, il grande generale si sedette asciugandosi il viso con il dorso delle mani e si ritrovò seduto tra i due draghi, di fronte a suo figlio. Il ragazzo gli sorrideva, gli asciugò le ultime lacrime, e con un sorriso si alzò per andare incontro a una figura femminile poco distante. Un lieve inchino della donna e i due si volatilizzarono. Ran e Sho si mossero leggermente e al loro posto comparirono due Talpetasso. Queste gli fecero vedere uno scorcio del suo futuro a Ba Sing Se.
Ancora un cambiamento e si trovò di fronte alla fonte dei pesci Koi. Tui e La, sguazzando in circolo incessantemente, gli fecero vedere l’importanza della loro esistenza, così com’erano importanti il Sole e la Luna. Un nuovo cambiamento e un paio di bisonti volanti, mai visti in vita sua, lo condussero nei ghiacci del Polo Sud. Intravide una luce, forte accecante e di nuovo i draghi fecero segno col capo e Iroh si ritrovò nel suo corpo. Il dolore al petto non era passato, ma un po’ si era affievolito. Ora sapeva cosa fare, e da dove incominciare per aiutare quel mondo sull’orlo dell’annientamento. Avrebbe mantenuto il segreto sugli ultimi due draghi. Avrebbe rinunciato a un trono circondato da pura follia. Avrebbe sostenuto l’Ordine del Loto Bianco che gli aveva permesso di vedere per l’ultima volta suo figlio. Avrebbe aiutato a trovare l’Avatar e a mettere la parola fine a quell’assurda guerra. Un giorno avrebbe mantenuto ognuna di queste promesse. Accettato definitivamente come membro dell’Ordine, i due draghi volarono ognuno nella propria dimora e lasciarono ad Iroh una pedina del Pai-sho.
- Tienila sempre con te! – gracchiò Re Bumi da sotto la scalinata.
Il capo dei Guerrieri del Sole passò il resto della serata a illustrare ad Iroh tutti gli avamposti dell’Ordine. Come contattarli e cosa fare in caso di necessità. - Quando troverai adepti degni di questo nome, recati in un nostro avamposto, e consegna loro una pedina come questa – continuò il capo tribù mostrandogli la sua pedina del Pai-sho.

Ventiquattr’ore erano passate dall’attacco alla sua nave e sapeva che i suoi uomini non sarebbero rimasti svenuti ancora per molto. I due draghi stavano sorvolando il cammino a ritroso e presto Iroh si ritrovò sul vascello. Gli altri membri del Loto Bianco spariti, così com’era sparita la terra che intrappolava la nave. Vedendo i primi segnali di ripresa dei suoi uomini sul ponte, il generale si diede da fare a fingere di combattere per scacciare gli invasori e risultare il più affannato possibile. Visti gli ultimi avvenimenti non era certo una cosa difficile. Alcuni uomini si alzarono sorpresi.
- Generale? Generale? Dove sono andati i nemici? –
- Non preoccupatevi. In fondo sono stato io a uccidere l’ultimo drago no?... – cercò di inculcare nelle teste dei presenti – Cosa credete che il Grande “Dragone dell’Ovest” si faccia sconfiggere così facilmente? – Gli uomini erano sorpresi e incerti su cosa rispondere, ma, per non contraddire il loro generale, urlarono in coro la vittoria del terrificante “Dragone dell’Ovest”. Vera o non vera che fosse la notizia, per Iroh era importante che la voce si spargesse e che la gente ci credesse. Il viaggio riprese quindi senza intoppi e placidamente si avvistarono le coste del Regno della Terra. Ancora uno sforzo e, in serata, sarebbero giunti a Ba Sing Se. L’armata accampata fuori dalle mura della capitale stava già preparandosi per il viaggio di rientro, e Iroh dopo i saluti e l’ispezione di rito si diresse verso la pira funeraria per il figlio e gli altri caduti. Al termine del rito la stanchezza lo accolse di sorpresa, ma doveva andare nel luogo prescelto, quello visto durante il viaggio nel mondo degli spiriti, e così fece. Sotto un maestoso albero su una collina poco distante le mura di Ba Sing Se, seppellì i resti di Lu-Ten, ripromettendosi di tornare a rendergli omaggio ogni anno. Una breve preghiera, i lunghi ricordi ed era pronto a rientrare, da sconfitto, nella sua patria.
Il mare era calmo, il silenzio era rotto solo dal sordo rumore del motore, Iroh era dritto di fronte alla meta sulla prua della nave, lo sguardo fiero, sicuro, non un’esitazione si sarebbe mai letta sul suo volto in quel momento. Le decisioni erano state prese, ogni azione avrebbe fatto il suo corso e sarebbe giunta alla giusta fine. Quando non lo avrebbe saputo dire, ma gli spiriti gli avevano fatto vedere che un giorno tutto sarebbe tornato secondo il giusto ordine della vita naturale e lui avrebbe fatto di tutto per non mancare a quell’evento.

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